REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 17, 18, 19, 20, 21 e 22, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), promossi dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto, con ricorsi notificati il 25 e il 26 febbraio 2008, depositati in cancelleria il 27 febbraio e il 5 marzo 2008 ed iscritti, rispettivamente, al n. 16 ed al n. 19 del registro ricorsi 2008.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Giovanni Pasquale Mosca per la Regione Toscana, Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— La Regione Toscana, con ricorso notificato il 25 febbraio 2008 e depositato il successivo 27 febbraio (iscritto al n. 16 del registro ricorsi dell’anno 2008), ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 2, commi 17, 18 e 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che hanno ad oggetto il riordino delle comunità montane, per violazione, nel complesso, degli artt. 117, 118, 119 e 127 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
2.— La ricorrente censura l’art. 2, comma 17, della suddetta legge, in quanto esso, nello stabilire che le Regioni devono procedere «al riordino della disciplina delle comunità montane, ad integrazione di quanto previsto dall’art. 27» del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), violerebbe la potestà legislativa regionale di carattere residuale, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., alla quale va ricondotta, secondo la giurisprudenza della Corte (sono richiamate le sentenze n. 456 e n. 244 del 2005), la materia delle comunità montane.
3.— Né, ad avviso della ricorrente, può assumere rilievo il «fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica», indicato dalla norma medesima. Quest’ultima − che fa sistema con i successivi commi 18 e 21, anch’essi sospettati di illegittimità costituzionale – conterrebbe, infatti, disposizioni di dettaglio e autoapplicative.
Secondo la ricorrente, non sarebbero ravvisabili nelle suddette disposizioni princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica adottati dallo Stato nell’esercizio della relativa potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (è richiamata la sentenza n. 65 del 2001), risultando, pertanto, leso anche l’art. 119 Cost.
4.— L’art. 2, comma 18, della medesima legge è censurato per le seguenti ragioni.
La Regione afferma che lo Stato non può stabilire princípi fondamentali in una materia rimessa alla potestà legislativa residuale delle Regioni. Nello specifico, in particolare, non avrebbero potuto essere dettati princípi relativi né al numero delle comunità montane necessario per l’adeguato svolgimento delle funzioni regionali o delle funzioni comunali (art. 2, comma 18, lettera a), né al numero dei componenti degli organi rappresentativi (art. 2, comma 18, lettera b) necessari al migliore svolgimento delle funzioni degli enti e alla capacità di rappresentare i comuni che ne fanno parte.
Da ciò discende che anche l’art. 18, comma 2, è lesivo dell’art. 117, quarto comma, Cost., con riferimento sia alla disciplina dei profili ordinamentali delle comunità montane, sia alla competenza ad organizzare il territorio in modo adeguato per l’ottimale esercizio delle funzioni regionali e comunali.
Inoltre, la «notevole ambiguità, poiché non è chiara la direzione che gli indicatori dovrebbero assumere», dei criteri indicati dalla richiamata lettera a) confermerebbe che l’eccepita «invasione di competenza nella sfera della potestà regionale investe il decisivo profilo dell’autonomia delle Regioni ad organizzare l’esercizio delle funzioni, nelle materie di propria competenza, attuando i princípi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione sanciti dall’art. 118 Cost.». Pertanto, afferma la ricorrente, viene limitato il ruolo della Regione quale «centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali», come riconosciuto dalla sentenza n. 343 del 1991.
5.— Infine, la Regione censura il comma 21 che prevede, tra l’altro, che con un d.P.C.m. possa essere determinata la cessazione dell’efficacia della legge regionale ritenuta inidonea a raggiungere la prevista riduzione di spesa. La relativa norma contrasterebbe con l’autonomia legislativa regionale in materia e configurerebbe un controllo di merito sulla legge regionale non previsto dalla Costituzione e incompatibile con il sistema delineato dall’art. 127 Cost.
6.— La norma sarebbe, altresì, illegittima, in subordine, in quanto non sono previste attività concertative e di coordinamento orizzontale quali le intese, in attuazione del principio di leale collaborazione, non essendo satisfattorio di quest’ultimo la previsione che le Regioni interessate siano soltanto sentite.
7.— Anche la Regione Veneto, con ricorso notificato il 26 febbraio 2008 e depositato il successivo 5 marzo (iscritto al n. 19 del registro ricorsi dell’anno 2008), ha impugnato, tra l’altro, le disposizioni contenute nella medesima legge finanziaria per il 2008 dedicate al riordino delle comunità montane, e, precisamente, l’art. 2, commi da 17 a 22, per violazione, nel complesso, degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione, desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost., e dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
8.— Un primo gruppo di censure riguarda i commi 17 e 18.
Le disposizioni negli stessi contenute, nel complesso, invaderebbero la sfera della potestà legislativa residuale della Regione nella materia delle comunità montane (sono richiamate le sentenze n. 456 e n. 244 del 2005) e lederebbero l’art. 118 Cost. Il solo comma 17, lederebbe l’art. 119 Cost. e sarebbe anche irragionevole.
Per altro verso, le medesime disposizioni non sarebbero riconducibili alla potestà legislativa esclusiva statale nella materia «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., né conterrebbero princípi di coordinamento della finanza pubblica, riconducibili alla relativa potestà legislativa concorrente dello Stato, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
8.1.— Inoltre, con riguardo ai commi 17 e 18, la Regione lamenta la lesione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., sostenendo, da un lato, che in materia di comunità montane non è ravvisabile una potestà legislativa statale; dall’altro, che non sussisterebbero, nella specie, le condizioni per ritenere che le norme impugnate attribuiscano legittimamente le funzioni amministrative a livello centrale, regolandone l’esercizio in base ai princípi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Ed anzi, l’asserita potestà legislativa regionale riguarderebbe la sola disciplina del funzionamento delle comunità montane, mentre, in materia di organizzazione delle medesime, persino il legislatore regionale soggiacerebbe a dei limiti. Le comunità montane, in quanto dotate di funzioni proprie, sarebbero, infatti, enti locali necessari e, pertanto, non sopprimibili con legge. L’autonomia normativa nel settore dell’organizzazione, costituzionalmente garantita dall’art. 117, sesto comma, Cost., agli enti territoriali (comuni, province e città metropolitane), dovrebbe ritenersi propria anche delle loro forme associative e, quindi, delle comunità montane.
8.2.— In relazione alla prospettata impossibilità di ritenere che le norme impugnate e, segnatamente, il comma 17, costituiscano princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, la Regione rileva che esse, stabilendo singole voci di spesa da limitare, si risolverebbero in un’indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. all’autonomia regionale.
8.3.— Il vincolo di spesa stabilito dal comma 17, sarebbe, in ogni caso, viziato sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto non corredato da criteri volti a proporzionare la riduzione imposta alle situazioni attuali delle singole Regioni.
9.— Un secondo gruppo di censure riguarda il comma 19. In proposito, la difesa regionale rileva che esso è viziato di riflesso dalla illegittimità costituzionale dei commi 17 e 18, ed appare, altresì, irragionevole ed inopportuno, in quanto crea e consente la sopravvivenza di molteplici definizioni di “montagna”, a detrimento della coerenza e della sistematicità dell’ordinamento.
10.— Un terzo gruppo di censure attiene ai commi 20 e 21, con i quali si prevede un intervento statale di soppressione delle comunità montane nel caso non sia intervenuto il prescritto riordino regionale entro il termine, irragionevolmente breve, di sei mesi dall’entrata in vigore della legge finanziaria. A sostegno della dedotta illegittimità costituzionale la difesa regionale richiama le censure già prospettate e, in particolare, deduce che le norme censurate sarebbero irrazionali ed inopportune.
Ed infatti, da un lato, la soppressione ex abrupto degli enti in questione farebbe venir meno i servizi dagli stessi erogati, senza alcuna disciplina in merito; dall’altro, si interromperebbe traumaticamente il rapporto di consolidata convivenza ed aggregazione tra comuni aventi esigenze similari.
11.— Infine, specifiche doglianze sono rivolte dalla Regione Veneto al comma 22, che disciplina, tra l’altro, il subentro dei comuni alle comunità montane secondo le regole del diritto privato.
Tale scelta sarebbe irragionevole in ragione delle esigenze di continuità che permeano l’avvicendamento tra enti pubblici.
D’altro canto, la citata disposizione, nonché quelle contenute nei commi 20 e 21, sarebbero incoerenti con la finalità di contenimento della spesa pubblica.
Il previsto subentro, infine, nella parte in cui può avvenire anche solo in via provvisoria, sarebbe irragionevole e lesivo del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
12.— Con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Veneto, l’11 marzo 2008, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto che le censure prospettate dalla ricorrente sono destituite di fondamento.
Si afferma che il legislatore statale ha fatto corretta applicazione del principio stabilito dall’art. 117, terzo comma, Cost., secondo il quale nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente è riservata allo Stato la fissazione dei princípi fondamentali. Ciò, in quanto una nuova disciplina delle comunità montane rientra nella materia «governo del territorio». Verrebbe, comunque in rilievo anche l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., che prevede una competenza esclusiva dello Stato in materia di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, nel cui ambito possono essere ricondotte anche le comunità montane, in quanto unioni di comuni.
13.— In prossimità dell’udienza pubblica, fissata per il 10 febbraio 2009, in data 20 gennaio 2009, la Regione Toscana ha depositato memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate.
In particolare, la ricorrente ha dedotto che con propria legge regionale 26 giugno 2008, n. 37 (Riordino delle Comunità montane), essa ha emanato disposizioni sulle comunità montane, al solo fine di evitare il prodursi dell’effetto previsto dall’art. 2, comma 20, della legge n. 244 del 2007.
La stessa ricorrente afferma, quindi, la persistenza dell’interesse al ricorso per due ordini di ragioni. Da un lato, infatti, le nuove entità non sono ancora operative; dall’altro, in ogni caso, i criteri di cui ha fatto applicazione la suddetta legge regionale non possono essere ritenuti vincolanti per le Regioni.
14.— In data 20 gennaio 2009 anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, in relazione al ricorso n. 19 del 2008 proposto dalla Regione Veneto, e con essa, nel ribadire le richieste già formulate, ha dedotto che le disposizioni impugnate, pienamente razionali, costituiscono «princípi direttivi di legislazione concorrente» adottati nella materia di coordinamento della finanza pubblica al fine di tutelare l’unità economica del Paese.
Da ciò discenderebbe anche il potere sostitutivo dello Stato, come previsto dal comma 20 dell’art. 2 della legge in questione.
Il Presidente del Consiglio rileva, infine, come solo alcune Regioni, tra le quali il Veneto, non abbiano provveduto ad effettuare il suddetto riordino, con la conseguente operatività del d.P.C.m. 19 novembre 2008 (Riordino della disciplina delle Comunità montane, ai sensi dell’articolo 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
15.— Anche la Regione Veneto, in data 28 gennaio 2009, ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni già rassegnate.
La difesa regionale richiama la normativa statale, successiva alle norme impugnate, che ha ulteriormente interessato le comunità montane e, in particolare, il citato d.P.C.m. 19 novembre 2008.
Quest’ultimo ha reso efficace nei confronti delle Regioni inadempienti le previsioni del comma 20 dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2008.
In applicazione di tale disciplina, pertanto, delle diciannove comunità montane del Veneto, otto sono state soppresse. Per tale motivo, la ricorrente deduce «di aver proposto conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni» nei confronti del suddetto d.P.C.m.
La ricorrente afferma, altresì, che con «deliberazione della Giunta regionale n. 3687 del 25 novembre 2008», si è preso atto di tali effetti e si è proceduto a nominare commissari straordinari per ogni comunità montana soppressa.
Tanto premesso, la Regione Veneto riafferma i propri dubbi di costituzionalità, contrastando le difese dell’Avvocatura dello Stato, e ribadisce che la disciplina in questione viola la potestà legislativa residuale delle Regioni nella materia relativa all’ordinamento delle comunità montane.
Considerato in diritto
1.— La Regione Toscana e la Regione Veneto, con riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119 e 127 della Costituzione, oltre che al principio di leale collaborazione, hanno promosso questione di legittimità costituzionale, tra l’altro, nell’insieme, dell’art. 2, commi da 17 a 22, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che hanno ad oggetto il riordino delle comunità montane, con finalità di riduzione, a regime, della spesa corrente per il funzionamento di tali enti per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario assegnata per l’anno 2007 alle comunità montane presenti nella Regione.
Per entrambe le ricorrenti il punto centrale del dubbio di costituzionalità è costituito, in sintesi, dalla asserita lesione della loro potestà legislativa e dalla assenza di titoli di legittimazione dello Stato ad adottare la disciplina in esame.
2.— Le impugnazioni di cui innanzi devono essere trattate separatamente dalle altre questioni proposte con i medesimi ricorsi. Inoltre, per omogeneità di materia, esse devono essere decise, previa riunione in parte qua dei ricorsi, con la stessa sentenza.
3.— In via preliminare, va rilevato che, successivamente alla proposizione dei ricorsi, il comma 17 ed il comma 21 sono stati modificati dall’art. 4-bis, commi 5 e 6, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97 (Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, sicché si pone la questione degli effetti del ius superveniens sull’odierno giudizio.
La disposizione sopravvenuta modifica i termini fissati dal legislatore statale alle Regioni per procedere, da un lato (art. 2, comma 17), al riordino della disciplina delle comunità montane e, dall’altro (art. 2, comma 21), all’accertamento dell’effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa di cui al comma 17.
Ed infatti, il testo originario delle norme censurate stabiliva in sei mesi dall’entrata in vigore della legge finanziaria il primo termine e riferiva al 31 luglio 2008 il secondo. La novella, invece, ha fissato al 30 settembre 2008 il primo termine e al 31 ottobre 2008 il secondo.
Orbene, è evidente che dalle disposizioni legislative sopravvenute sono desumibili norme sostanzialmente coincidenti con quelle originarie, oggetto di impugnativa, per cui le questioni di costituzionalità – in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via di azione – devono intendersi trasferite sulle nuove norme nella parte in cui esse modificano quelle originarie. Ed è, altresì, evidente come la suddetta sopravvenienza normativa non abbia determinato la cessazione della materia del contendere sulle questioni stesse in relazione al contenuto dei ricorsi proposti dalle Regioni ricorrenti. Ciò in quanto la breve proroga dei termini disposta, di per sé, non incide sul contenuto precettivo delle norme censurate.
4.— Sempre in via preliminare, deve osservarsi che la Regione Toscana, in modo non dissimile da quanto fatto da altre Regioni, ha dato attuazione alle disposizioni impugnate, approvando la legge regionale 26 giugno 2008, n. 37 (Riordino delle Comunità montane), in attuazione e in conformità a quanto previsto proprio dall’art. 2, comma 17, della legge n. 244 del 2007.
Ciò, tuttavia, non determina il venir meno dell’interesse al ricorso da parte della stessa Regione, la quale, nella memoria depositata il 20 gennaio 2009, ha ribadito che «i criteri che si sono dovuti applicare non possono essere ritenuti vincolanti per il legislatore regionale».
Per le Regioni che non hanno dato seguito, nel termine fissato, alle disposizioni in esame, tra le quali la Regione Veneto, è intervenuto il d.P.C.m. 19 novembre 2008 (Riordino della disciplina delle Comunità montane, ai sensi dell’articolo 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), il quale ha stabilito che per dette Regioni «si producono gli effetti del comma 20 dell’art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dalla data di pubblicazione del presente decreto».
A seguito dell’emanazione del suddetto d.P.C.m., la Giunta regionale della Regione Veneto, con deliberazione n. 3687 del 25 novembre 2008, «ha dovuto prendere atto dell’automatica produzione di effetti sulla composizione e struttura delle proprie comunità montane» ed ha proceduto a nominare commissari straordinari per quelle soppresse «con il compito di provvedere alla ricognizione del loro patrimonio e all’adozione degli atti amministrativi necessari a garantire la continuità delle funzioni da esse svolte».
Tale circostanza non incide sull’interesse al ricorso, atteso che la Regione stessa, nella memoria depositata in data 28 gennaio 2009, ha ribadito di essere «fermamente convinta dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni normative (...) impugnate e della menomazione dei propri poteri» subita ad opera del citato d.P.C.m.
5.— Tanto premesso, tenuto conto delle censure ritualmente formulate dalle ricorrenti, è possibile individuare, pur nella complessiva unitarietà della disciplina in esame, distinti spazi normativi rispetto ai quali si appuntano le doglianze, in parte sostanzialmente coincidenti, proposte dalle due Regioni ricorrenti.
6.— Ed infatti, l’art. 2, nei commi 17 e 18 (impugnati da entrambe le ricorrenti), attiene al riordino delle comunità montane, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, e alle modalità di esso.
Rispetto ai due commi censurati, la Regione Toscana e la Regione Veneto prospettano la violazione, nel complesso, degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.
7.— Il comma 19 (impugnato dalla sola Regione Veneto) limita l’ambito di applicazione del comma 18, escludendo che quanto in esso previsto possa trovare applicazione al di là del suddetto riordino.
La difesa regionale rileva che il comma in esame sarebbe viziato, di riflesso, dalla illegittimità costituzionale dei commi 17 e 18, oltre ad essere irragionevole ed inopportuno.
8.— I commi 20 e 21 (censurati entrambi dalla Regione Veneto, mentre la Regione Toscana ha sottoposto al vaglio di questa Corte il solo comma 21) fissano una serie di misure volte a dare attuazione al previsto riordino, anche nel caso di inerzia delle Regioni o di inadeguatezza delle leggi regionali.
Gli stessi commi, ad avviso delle ricorrenti, violerebbero, nel complesso, gli artt. 3, 97, 117, 118, 119 e 127 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
9.— Infine, un ulteriore specifico profilo della disciplina contestata è quello oggetto del comma 22, impugnato dalla sola Regione Veneto, con riferimento agli artt. 3, 97,117, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione.
10.— Così riepilogate, in sintesi, le censure prospettate dalle ricorrenti, in via preliminare devono essere dichiarate inammissibili le questioni di costituzionalità proposte dalla Regione Veneto con riferimento alla violazione dei princípi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), per la loro genericità ed inconferenza.
Quanto, infatti, all’ipotizzato contrasto con i citati parametri costituzionali, deve ribadirsi il consolidato orientamento di questa Corte (ex multis, sentenze n. 289 e n. 216 del 2008), secondo il quale le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze legislative, essendosi ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite; circostanza, questa, non ravvisabile nel caso di specie.
11.— Nel merito, in ragione delle rispettive prospettazioni difensive delle parti del giudizio, occorre, innanzitutto, individuare l’ambito materiale al quale appartengono le norme impugnate.
12.— Al riguardo, come questa Corte ha più volte affermato, per l’individuazione della materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censure, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto ed alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciandone gli aspetti marginali e riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (sentenze n. 430 e n. 165 del 2007).
Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ha precisato che, nel caso in cui una normativa interferisca con più materie attribuite dalla Costituzione, da un lato, alla potestà legislativa statale e, dall’altro, a quella concorrente o residuale delle Regioni, occorre individuare l’ambito materiale che possa considerarsi nei singoli casi prevalente. E, qualora non sia individuabile un ambito materiale che presenti tali caratteristiche, la suddetta concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in Costituzione, giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione (sentenza n. 50 del 2008), il quale deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie.
Da ciò consegue che una disposizione statale di principio, adottata in materia di legislazione concorrente, quale quella del coordinamento della finanza pubblica, può incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni (ex multis, sentenze n. 159 del 2008; n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005).
In tal caso, il vaglio di costituzionalità dovrà verificare il rispetto del rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio, che deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (citata sentenza n. 181 del 2006).
In proposito, la Corte ha anche affermato che la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenza n. 430 del 2007).
13.— Tutto ciò premesso, la prima considerazione dalla quale è necessario partire è quella secondo cui, come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 244 del 2005, l’evoluzione della legislazione relativa alla comunità montana si caratterizza per il riconoscimento alla stessa della natura di ente autonomo, quale proiezione dei comuni che ad essa fanno capo (art. 4 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, recante «Nuove norme per lo sviluppo della montagna»; art. 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142, recante «Ordinamento delle autonomie locali», nel testo originario).
14.— La più recente normativa ha, inoltre, specificato quale sia la natura giuridica delle comunità montane, qualificandole, dapprima, quali «unioni montane» (art. 28 della legge n. 142 del 1990, come modificato dall’art. 7, comma 1, della legge 3 agosto 1999, n. 265, recante «Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142») e, successivamente, quali «unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani» (art. 27, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che reca «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali»). Tale definizione pone in evidenza l’autonomia di tali enti (non solo dalle Regioni, ma anche) dai comuni, come dimostra, tra l’altro, l’espressa attribuzione agli stessi della potestà statutaria e regolamentare (art. 4, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»).
Va anche, ricordato come proprio il citato art. 27, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 demandi alla legge regionale la disciplina delle comunità montane con specifico riferimento: a) alle modalità di approvazione dello statuto; b) alle procedure di concertazione; c) alla disciplina dei piani zonali e dei programmi annuali; d) ai criteri di ripartizione tra le comunità montane dei finanziamenti regionali e di quelli dell’Unione europea; e) ai rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.
A tale disposizione si correla poi il successivo art. 28, che ha ad oggetto le funzioni delle comunità montane.
15.— Nella vigenza del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, la Corte ha avuto modo di affermare (sentenze n. 244 e n. 456 del 2005; n. 397 del 2006) che la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., con la conseguenza, tra l’altro, che non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 117, terzo comma, ultima parte, la quale presuppone, invece, che si verta in materie di legislazione concorrente.
Per i motivi sopra esposti, pertanto, la ravvisata incidenza delle disposizioni in esame su un ambito materiale, quale è quello concernente appunto le comunità montane, non esclude, di per sé, la legittimità dell’intervento legislativo effettuato con la legge finanziaria in esame.
16.— Precisato, in linea generale, il quadro ordinamentale relativo agli organismi in esame occorre, dunque, stabilire se le norme impugnate possano rinvenire un autonomo titolo di legittimazione nella competenza dello Stato relativa alla armonizzazione dei bilanci pubblici ed al coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
Al riguardo, è necessario preventivamente ricordare in sintesi i princípi basilari elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia.
17.— Innanzitutto, questa Corte ha osservato che la finalità di contenimento della spesa pubblica corrente deve essere ritenuta espressione della finalità di coordinamento finanziario (sentenze n. 4 del 2004 e n. 417 del 2005).
Da ciò consegue che il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio – anche se questi ultimi, indirettamente, vengono ad incidere sull’autonomia regionale di spesa – per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il contenimento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari.
Infatti, per un verso, non può dubitarsi che la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali sia parte della finanza pubblica allargata (sentenze n. 267 del 2006 e n. 425 del 2004); per altro verso, deve essere ricordato che tra i vincoli derivanti all’Italia dall’appartenenza all’Unione europea vi è l’obbligo di rispettare un determinato equilibrio complessivo del bilancio nazionale, «secondo quanto precisato dalla risoluzione del Consiglio europeo del 17 giugno 1997 relativa “al patto di stabilità e di crescita”» (sentenza n. 267 del 2006).
Le disposizioni di principio relative al contenimento della spesa pubblica e al rispetto del patto di stabilità interno, legittimamente adottate, sono idonee, altresì, a realizzare l’ulteriore finalità del buon andamento delle pubbliche amministrazioni (sentenze n. 417 e n. 64 del 2005).
Su un piano d’ordine generale, si è così ritenuto che il legislatore statale possa stabilire solo un limite complessivo che lasci agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Qualora la legge statale, invece, vincolasse Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di dettaglio, essa verrebbe a comprimere illegittimamente la loro autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli princípi fondamentali della materia (sentenza n. 159 del 2008).
E va anche ricordato che all’ambito di tali princípi di coordinamento della finanza pubblica questa Corte ha, altresì, ricondotto (ritenendo la legittimità di alcune disposizioni relative alla disciplina degli obblighi di invio di informazioni sulla situazione finanziaria dalle Regioni e dagli enti locali alla Corte dei conti) norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali (citata sentenza n. 417 del 2005).
Da ultimo (sentenza n. 371 del 2008), la Corte ha ritenuto, in materia di sanità, che in presenza di una disposizione espressione di un principio fondamentale, diretto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni ed i sistemi delle Regioni e delle Province autonome, è destinata a partecipare di questo stesso carattere di normativa di principio anche quella volta ad assicurare che non resti privo di conseguenze il principio fondamentale legittimamente fissato.
18.— Alla luce di quanto sopra, si può, quindi, passare all’esame delle specifiche questioni di costituzionalità proposte, nella specie, dalle due ricorrenti.
19.— Viene, al riguardo, in rilievo innanzitutto la questione concernente il comma 17 dell’art. 2 della legge finanziaria per l’anno 2008.
20. —Tale questione non è fondata.
21.— Il citato comma 17, nel suo testo originario, ha previsto che «le Regioni, al fine di concorrere agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvedono con proprie leggi, sentiti i consigli delle autonomie locali, al riordino della disciplina delle comunità montane, ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 27 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in modo da ridurre a regime la spesa corrente per il funzionamento delle comunità montane stesse per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario di cui al comma 16, assegnata per l’anno 2007 all’insieme delle comunità montane presenti nella Regione».
Il richiamato art. 27 del d.lgs. n. 267 del 2000, la cui rubrica reca «Natura e ruolo» delle suddette comunità, a sua volta disciplina la struttura e i criteri di individuazione degli ambiti territoriali di queste ultime.
22.— Con il comma in esame, dunque, il legislatore statale ha fissato un obiettivo di natura finanziaria per le Regioni, basato sulla riduzione della spesa “storica” erogata nell’anno 2007, indicando alle Regioni stesse, per raggiungere tale obiettivo, il percorso del riordino della disciplina normativa relativa alle comunità montane.
23.— Al riguardo, va, innanzitutto, osservato che, a giustificazione dell’intervento legislativo dello Stato, non può essere invocato l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., nella parte in cui assegna alla competenza esclusiva statale la materia relativa a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», atteso che il riferimento a detti enti deve ritenersi tassativo, mentre nella suddetta elencazione manca ogni riferimento alle comunità montane.
A ciò va aggiunto che l’art. 114 Cost. non contempla le comunità montane tra i soggetti di autonomia destinatari del precetto in esso contenuto e non è possibile delineare, a livello costituzionale, alcuna equiordinazione tra comuni e comunità montane. Il carattere tassativo dell’enunciazione contenuta nel citato art. 114 è stato specificamente affermato da questa Corte nella sentenza n. 456 del 2005.
La giurisprudenza costituzionale ha anche avuto modo di precisare (sentenza n. 229 del 2001), pronunciandosi su una ipotesi di soppressione di alcune comunità montane, che queste ultime «contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente necessari» e che esse non sono enti necessari sulla base di norme costituzionali, sicché rientra nella potestà legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente, la soppressione.
Non sono, dunque, condivisibili sia la deduzione della Regione Veneto, secondo la quale i predetti organismi non potrebbero essere soppressi né dalla legge statale, né dalla legge regionale, sia la prospettata conseguente distinzione, nell’ambito della materia in esame, della disciplina del funzionamento delle comunità in questione, che sarebbe rimessa alla potestà legislativa regionale, rispetto a quella dell’organizzazione (comprensiva della istituzione e della cessazione), che sarebbe rimessa, invece, all’autonomia normativa di tipo regolamentare delle stesse comunità, ex art. 117, sesto comma, Cost.
Tale ultimo ambito, infatti, non può essere invocato come settore a se stante, agli effetti dell’art. 117 Cost., poiché l’organizzazione è parte integrante dell’ordinamento delle comunità montane, rimesso complessivamente, come si è già precisato, alla potestà legislativa residuale regionale.
Né ciò è contraddetto dalla «espressa attribuzione» ad esse «della potestà statutaria e regolamentare (art. 4, comma 5, della legge n. 131 del 2003)» (sentenza n. 456 del 2005), dal momento che, come è previsto dal citato art. 4, comma 4, tale potestà deve svolgersi «nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze».
23.1. — Alla luce delle considerazioni fin qui svolte si presenta, del pari, non condivisibile la deduzione della difesa dello Stato, secondo cui le norme impugnate andrebbero ricondotte alla materia del governo del territorio.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato (sentenze n. 383 e n. 336 del 2005; n. 196 del 2004 e n. 307 del 2003) che la disciplina del governo del territorio è «comprensiva, in linea di principio, di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività» ed è, quindi, riconducibile, in definitiva, all’«insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio». In particolare, la Corte (sentenza n. 383 del 2005) ha osservato che «la competenza legislativa regionale in materia di “governo del territorio” ha dunque un ambito oggettivo assai esteso, ma non può arrivare a comprendere tutta la disciplina concernente la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l’esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio.
L’ambito materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta od indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non secondo il criterio dell’elemento materiale consistente nell’incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell’elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali l’interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati».
23.2.— Neppure, nella specie, si può ritenere che il legislatore statale abbia inteso effettuare una «chiamata in sussidiarietà» delle funzioni amministrative in materia di comunità montane, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., con la conseguente regolazione delle stesse per renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale unitario.
È sufficiente, a questo riguardo, richiamare i princípi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in ordine ai necessari presupposti (che non vengono neppure in rilievo in questa sede) per l’attrazione in sussidiarietà di funzioni sulla base di quanto previsto dall’art. 118 Cost. (sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
23.3. — Occorre stabilire, ora, se un autonomo titolo di legittimazione della censurata normativa statale possa essere rinvenuto nella potestà legislativa concorrente dello Stato in tema di coordinamento della finanza pubblica, come è pure dedotto dall’Avvocatura dello Stato, e nei limiti sopra precisati.
Tale tesi è contrastata dalle ricorrenti, secondo le quali, nel complesso, le norme impugnate sarebbero da ascrivere alla materia dell’ordinamento delle comunità montane e non costituirebbero espressione di princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in forza di quanto prescritto dall’art. 117, terzo comma, Cost.
Né, ad avviso, in particolare, della Regione Veneto, potrebbe assumere rilievo la previsione – contenuta nell’art. 3, comma 162, della legge finanziaria in esame – secondo cui le disposizioni della stessa legge costituiscono norme di coordinamento della finanza pubblica per gli enti territoriali. Inoltre, quand’anche tale natura potesse essere riconosciuta alle norme censurate, le stesse esorbiterebbero comunque dalla potestà statale, dal momento che esse dettano disposizioni di dettaglio idonee a comprimere l’autonomia finanziaria regionale di cui all’art. 119 Cost.
23.4.— In proposito, deve essere, innanzitutto, osservato che una clausola di salvaguardia, come quella invocata, non è idonea ad escludere il vizio di legittimità costituzionale della norma, qualora essa sia caratterizzata da estrema genericità e sia contenuta nel contesto di una legge recante numerose disposizioni, concernenti materie ed oggetti diversi (sentenze n. 165 e n. 95 del 2007; n. 118 del 2006). Tale principio trova applicazione anche nel caso in esame, sicché occorre verificare se e in quali limiti le norme impugnate possano effettivamente integrare princípi fondamentali della suddetta materia, rientrante nella competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni.
23.5.— In secondo luogo, è necessario ribadire, come si è sopra accennato, che non è di ostacolo all’adozione dei princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica la circostanza che la normativa contestata verta in un ambito materiale, qual è quello relativo all’ordinamento delle comunità montane, rimesso alla potestà legislativa residuale delle Regioni. In proposito, la giurisprudenza costituzionale è ferma nel ritenere che una disposizione statale di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica possa incidere sulla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione (sentenza n. 159 del 2008), riconducibile al quarto comma dell’art. 117 Cost. (citata sentenza n. 159 del 2008 e sentenze n. 188 del 2007; n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003).
23.6.― Ancora, occorre ricordare che è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo il quale norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008, n. 139 del 2009).
23.7.— A ciò va aggiunto che la portata di principio fondamentale va riscontrata con riguardo alla peculiarità della materia e, qualora la stessa sia identificata nel coordinamento della finanza pubblica, ciò che viene in particolare evidenza è la finalità cui la disciplina tende, da individuare, nella specie, nel suddetto contenimento complessivo della spesa regionale corrente per il funzionamento delle comunità montane.
23.8― In altri termini, l’ordinamento delle comunità montane non costituisce l’oggetto principale della normativa statale in esame, ma rappresenta il settore in cui devono operare strumenti e modalità per pervenire alla prevista riduzione della spesa pubblica corrente; riduzione cui è strumentalmente ancorato il divisato riordino degli organismi in questione.
In proposito, assume significativo rilievo quanto stabilito dal comma 16 dell’art. 2 della stessa legge finanziaria. Pur non costituendo oggetto di impugnazione, il suddetto comma rappresenta la premessa logico-giuridica necessaria del successivo comma 17 che è specificamente oggetto delle censure proposte dalle ricorrenti.
Il comma 16, infatti, prevede la riduzione del fondo ordinario di cui all’articolo 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per l’ammontare di 33,4 milioni di euro per l’anno 2008 e di 66,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009. Con il suddetto fondo «lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali e dei comuni» (citato art. 34).
È evidente, quindi, che la disciplina che stabilisce il riordino delle comunità montane, in quanto costituisce il mezzo per pervenire a «ridurre a regime la spesa corrente» per il funzionamento delle medesime – «per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario di cui al comma 16, assegnata per l’anno 2007» all’insieme di tali organismi presenti nella Regione – completa la disciplina del citato comma 16 e partecipa, in modo inscindibile, della natura di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica di quest’ultimo, in quanto tende a far sì, in ultima analisi, che lo stesso trovi piena attuazione.
23.9.— Sulla base delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che le disposizioni contenute nel comma 17 in esame costituiscono effettivamente espressione di princípi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, proprio per la chiara finalità che, mediante il divisato riordino delle comunità montane, si propongono di raggiungere e per la loro proporzionalità rispetto al fine che intendono perseguire. Ciò in quanto il loro scopo è quello di contribuire, su un piano generale, al contenimento della spesa pubblica corrente nella finanza pubblica allargata e nell’ambito di misure congiunturali dirette a questo scopo nel quadro della manovra finanziaria per l’anno 2008.
23.10.— Deve, pertanto, ritenersi che quanto disposto dal comma in questione non comporti, di per sé, una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. all’autonomia delle Regioni e degli enti locali, cui la legge statale può legittimamente prescrivere criteri ed obiettivi.
E d’altronde, lo stesso legislatore statale si è preoccupato di stabilire il coinvolgimento degli enti locali, prevedendo che, per realizzare la finalità del contenimento della spesa, nell’attuazione del riordino delle comunità montane, siano sentiti i consigli delle autonomie locali, che costituiscono una «forma organizzativa stabile di raccordo tra le Regioni e il sistema delle autonomie locali» (sentenza n. 370 del 2006).
Consegue, pertanto, che l’impugnato comma 17 si sottrae alle censure di costituzionalità proposte.
24.— Analogamente al comma 17, sia pure per argomentazioni in parte diverse, anche il comma 18 si sottrae alle censure di costituzionalità prospettate dalla Regioni ricorrenti, sicché anche la relativa questione non è fondata.
24.1.— La disposizione impugnata stabilisce che le Regioni, nell’adozione delle leggi regionali di cui al comma 17, «tengono conto» di taluni «princípi fondamentali».
Questi ultimi sono così precisati:
«a) riduzione del numero complessivo delle comunità montane, sulla base di indicatori fisico-geografici, demografici e socioeconomici e in particolare: della dimensione territoriale, della dimensione demografica, dell’indice di vecchiaia, del reddito medio pro capite, dell’acclività dei terreni, dell’altimetria del territorio comunale con riferimento all’arco alpino e alla dorsale appenninica, del livello dei servizi, della distanza dal capoluogo di provincia e delle attività produttive extra-agricole;
b) riduzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi delle comunità montane;
c) riduzione delle indennità spettanti ai componenti degli organi delle comunità montane, in deroga a quanto previsto dall’articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni».
24.2.— Ritiene questa Corte che il vaglio di costituzionalità della suddetta disposizione debba essere compiuto alla luce del tenore letterale dell’incipit del comma 18, in uno con la lettura sistematica che coinvolge il precedente comma 17.
Correttamente interpretata, infatti, anche alla luce dell’art. 44, secondo comma, Cost., la norma impugnata non contrasta con gli evocati parametri costituzionali.
Il legislatore statale, anche con il predetto comma, in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa corrente per il funzionamento delle comunità montane, e senza incidere in modo particolare sull’autonomia delle Regioni nell’attuazione del previsto riordino, si limita a fornire al legislatore regionale alcuni “indicatori” che si presentano non vincolanti, né dettagliati, né autoapplicativi e che tendono soltanto a dare un orientamento di massima alle modalità con le quali deve essere attuato tale riordino.
L’espressione «tengono conto», con la quale si apre il comma 18, va intesa nel senso della non vincolatività per le Regioni delle suddette indicazioni, le quali, pertanto, pur qualificate formalmente alla stregua di «princípi fondamentali», di tale categoria condividono solo la necessità per la loro attuazione dell’intervento del legislatore regionale, ma non l’obbligo per quest’ultimo di conformare la sua azione all’osservanza dei princípi stessi.
Non senza ragione, infatti, la disposizione impugnata fa riferimento ad «indicatori», vale a dire ad elementi che, pur idonei a costituire un valido parametro di riordino, tuttavia, in tanto possono contribuire alla richiamata finalità di contenimento della spesa corrente, in quanto ne sia valorizzata l’adeguatezza, rispetto a tale obiettivo, in ragione delle caratteristiche di ciascun territorio regionale, secondo una valutazione operata, in piena autonomia, da ogni Regione.
Questa lettura del comma 18 trova conferma, inoltre, nella previsione contenuta nel comma 17, il quale stabilisce che il riordino della disciplina delle comunità montane debba essere effettuato, ad opera delle leggi regionali, «ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 27 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»; «disposizione che prevede la disciplina legislativa regionale su diversi aspetti particolari di organizzazione delle comunità stesse» (sentenza n. 229 del 2001).
Il suddetto art. 27 prevede, tra l’altro, al comma 7, che «ai fini della graduazione e differenziazione degli interventi di competenza delle Regioni e delle comunità montane, le Regioni, con propria legge, possono provvedere ad individuare nell’ambito territoriale delle singole comunità montane fasce altimetriche di territorio, tenendo conto dell’andamento orografico, del clima, della vegetazione, delle difficoltà nell’utilizzazione agricola del suolo, della fragilità ecologica, dei rischi ambientali e della realtà socio-economica».
Anche quelli sopra menzionati possono essere qualificati come meri «indicatori», rilevanti agli effetti di scelte di autonomia del legislatore regionale.
Emerge, quindi, come il comma 18, ora in esame, in relazione ai contenuti delle leggi regionali da adottare ai sensi del precedente comma 17, si limiti a porre a disposizione delle Regioni una serie di indicazioni che vengono ad integrare, in un rapporto di complementarità, quelle contenute nel citato art. 27, comma 7, del testo unico sugli enti locali, partecipando della medesima loro natura non vincolante, né autoapplicativa.
25.— Inammissibile deve ritenersi, invece, la questione di legittimità costituzionale del comma 19, sollevata dalla sola Regione Veneto.
Detto comma dispone che «i criteri di cui al comma 18 valgono ai fini della costituzione delle comunità montane e non rilevano in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali».
Tale norma non è in grado di pregiudicare alcuna prerogativa regionale ed anzi limita l’efficacia di quelle norme nei cui confronti si appuntano con forza le doglianze della ricorrente.
Essa, in effetti, non è idonea a vulnerare ambiti di autonomia regionale ed è, dunque, priva di capacità lesiva; sicché la ricorrente difetta di interesse alla sua impugnazione.
Inoltre, disposizione analoga a quella ora oggetto di censura era già contenuta nell’art. 27, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui la legge regionale può escludere dalla comunità montana i comuni che presentino determinate caratteristiche, ma «l’esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefìci e degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali».
26.— La sola Regione Veneto ha impugnato il comma 20, prospettando censure di costituzionalità analoghe a quelle proposte nei confronti del comma 18.
26.1.— La questione è fondata.
26.2.— Il comma 20 prescrive che «in caso di mancata attuazione delle disposizioni di cui al comma 17 entro il termine ivi previsto, si producono i seguenti effetti:
a) cessano di appartenere alle comunità montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri e quelli con popolazione superiore a 20.000 abitanti;
b) sono soppresse le comunità montane nelle quali più della metà dei comuni non sono situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non è minore di 500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine e il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri;
c) sono altresì soppresse le comunità montane che, anche in conseguenza di quanto disposto nella lettera a), risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi in cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno cinque comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio;
d) nelle rimanenti comunità montane, gli organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non può indicare più di un membro. A tal fine la base elettiva è costituita dall’assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i componenti dell’organo consiliare con voto limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei componenti l’organo consiliare».
26.3.— Il comma in questione, come emerge dalla sua stessa formulazione, disciplina, in modo esaustivo, gli effetti che conseguono alla mancata attuazione di quanto previsto dal comma 17, vale a dire nella ipotesi in cui le Regioni non provvedano, nei termini prescritti, al riordino delle comunità montane sulla base di criteri indicati nel comma 18 e dunque non sia raggiunto l’obiettivo di riduzione della spesa “storica” per l’insieme delle comunità montane previste nel territorio di ciascuna Regione. Tali effetti si concretizzano nella cessazione dell’appartenenza alle comunità montane di determinati comuni, nonché nella soppressione automatica delle comunità che vengono a trovarsi nelle condizioni indicate dal medesimo comma 20.
Quest’ultimo, però, contiene una disciplina di dettaglio ed autoapplicativa che non può essere ricondotta all’alveo dei princípi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle comunità che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni ivi previste.
A ciò va aggiunto che il comma stesso contiene anche una disposizione (quella relativa alla garanzia della presenza delle minoranze negli organi consiliari delle comunità) che, all’evidenza, esula dalla materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto attiene esclusivamente all’ambito dell’ordinamento dei predetti organismi, che – come si è precisato – rientra nella competenza residuale delle Regioni; essa, dunque, è estranea rispetto alle esigenze del contenimento, a regime, della spesa corrente per il loro funzionamento.
Le disposizioni impugnate, pertanto, in quanto determinano un vulnus alle prerogative di autonomia costituzionale delle Regioni, devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 117 Cost.
27.— Parzialmente fondata, altresì, è la questione di costituzionalità relativa al comma 21, impugnato da entrambe le ricorrenti.
28.— Detto comma, nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, dispone che «l’effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa di cui al comma 17 è accertato, entro il 31 luglio 2008, sulla base delle leggi regionali promulgate e delle relative relazioni tecnico-finanziarie, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, sentite le singole regioni interessate». Il comma stesso, nella sua ultima parte, dispone che «gli effetti di cui al comma 20 si producono dalla data di pubblicazione del predetto decreto».
La norma impugnata prevede, quindi, da un lato, un meccanismo di accertamento delle effettive riduzioni di spesa, di cui al comma 17, basato su un provvedimento amministrativo adottato dal Governo; dall’altro, la caducazione di quanto disposto dalle leggi regionali, qualora ritenute inadeguate a dare attuazione al comma 17, a far data dalla pubblicazione del provvedimento stesso.
28.1.— In particolare, la Regione Toscana ha dedotto che la disposizione in questione, con specifico riferimento alla sua seconda parte, è lesiva dell’art. 117 Cost., non potendo essere rimessa ad un atto amministrativo la cessazione dell’efficacia della legge regionale ritenuta inidonea a raggiungere la prevista riduzione della spesa corrente.
Ciò integrerebbe, infatti, un controllo di merito sulla legge regionale, non previsto da alcuna norma costituzionale ed incompatibile con il sistema delineato dall’art. 127 Cost.
28.2.— Al riguardo, occorre richiamare quanto già affermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 198 del 2004), e cioè che il Titolo V della parte II della Costituzione presuppone che l’esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale certo non si esclude l’esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono trovare soluzione mediante il promovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte, secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali.
Da ciò consegue che è escluso dal sistema costituzionale che il legislatore statale, rispetto alle leggi regionali (così come quello regionale rispetto alle leggi statali), utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile una legge regionale che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in giudizio dinnanzi a questa Corte.
Dunque, né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi per il tramite di proprie disposizioni di legge (sentenza n. 198 del 2004).
28.3.— Più recentemente, tale principio è stato ribadito da questa Corte, la quale ha affermato che «ogni valutazione sulle leggi regionali promulgate o sui regolamenti emanati appartiene alla competenza esclusiva rispettivamente della Corte costituzionale e dei giudici comuni, ordinari e amministrativi» (sentenza n. 200 del 2008).
28.4.— Alla luce di quanto sopra, è palese l’illegittimità dell’ultima parte del comma 21, che attribuisce ad un atto amministrativo dello Stato (il previsto d.P.C.m.), a decorrere dalla data di sua pubblicazione, efficacia abrogativa delle disposizioni regionali adottate, ove riconosciute insufficienti a garantire le riduzioni di spesa indicate nel comma 17.
Ciò in quanto la previsione della cessazione dell’esistenza di comunità montane o dell’autoritario scorporo di comuni dall’ambito delle comunità stesse vanifica il contenuto precettivo della legge regionale eventualmente adottata, con palese violazione del criterio di riparto di competenze e del principio di legalità sostanziale, in forza dei quali ogni intervento sull’efficacia di leggi regionali deve trovare puntuale giustificazione in fonti costituzionali.
La prima parte del comma, invece, che prevede un semplice accertamento, a fini meramente ricognitivi, dell’effettivo conseguimento delle riduzioni di spesa di cui al citato comma 17, «sulla base delle leggi regionali promulgate e delle relative relazioni tecnico–finanziarie», si presenta immune da vizi di costituzionalità, in quanto si tratta di attività che, sebbene rimessa ad un provvedimento amministrativo dello Stato, non è idonea a ledere prerogative di autonomia regionale. Tra l’altro, opportunamente la prima parte del comma in questione dispone che il d.P.C.m. avente le suindicate finalità conoscitive e ricognitive è adottato «sentite le singole Regioni interessate», vale a dire mediante il loro diretto coinvolgimento in tale attività accertativa.
Discende da quanto innanzi che il comma 21 in esame deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che «gli effetti di cui al comma 20 si producono dalla data di pubblicazione del predetto decreto».
29.— Merita accoglimento, infine, la questione di costituzionalità promossa dalla sola Regione Veneto in ordine al comma 22 dell’art. 2 in esame, il quale dispone che «le Regioni provvedono a disciplinare gli effetti conseguenti all’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 17, 18 e 20 ed in particolare alla soppressione delle comunità montane, anche con riguardo alla ripartizione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Sino all’adozione o comunque in mancanza delle predette discipline regionali, i comuni succedono alla comunità montana soppressa in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto, anche processuale, ed in relazione alle obbligazioni si applicano i princípi della solidarietà attiva e passiva».
Sebbene le censure proposte dalla Regione Veneto si riferiscano, in particolare, al secondo periodo del riportato comma, la richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale è formulata, con il ricorso, con riguardo all’intero comma, che, nel suo contenuto complessivo e anche per il riferimento espresso al comma 20, di cui si è riconosciuta la contrarietà alla Carta fondamentale, si presenta costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117 Cost.
Si tratta di una disciplina, autoapplicativa e di dettaglio, che non riveste carattere di principio fondamentale della materia relativa al coordinamento della finanza pubblica e che, pertanto, risulta invasiva di ambiti di autonomia delle Regioni, alle quali deve essere riconosciuto il potere di disciplinare direttamente e, appunto, in autonomia gli aspetti relativi alla fase successiva alla soppressione delle comunità montane, in particolare per quanto concerne la successione dei comuni alla comunità montana soppressa nei rapporti giuridici riferiti a quest’ultima, con specifico riguardo, tra l’altro, ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato dei dipendenti.
Ad analoga conclusione si perviene anche a volere ritenere che, con il comma 22 in esame, il legislatore abbia esercitato, tra l’altro, la sua competenza concorrente in materia di tutela del lavoro. Egualmente, infatti, le disposizioni impugnate esorbiterebbero dall’ambito dei princípi fondamentali relativi a quest’ultima e sarebbero incostituzionali con riferimento al loro carattere dettagliato ed autoapplicativo, come tale lesivo delle prerogative costituzionali delle Regioni nella suddetta materia.
Anche del comma 22, pertanto, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost.
30.— Restano assorbite le ulteriori censure prospettate in ordine ai commi 20, 21 e 22 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), promosse dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20, della suddetta legge n. 244 del 2007;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 21, ultimo periodo, della suddetta legge n. 244 del 2007, che prevede «gli effetti di cui al comma 20 si producono dalla data di pubblicazione del predetto decreto»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 22, della suddetta legge n. 244 del 2007;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 17, 18, 19, 20, 21 e 22, della suddetta legge n. 244 del 2007, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 19, della suddetta legge n. 244 del 2007, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 17 e 18, della suddetta legge n. 244 del 2007, promosse dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto, in riferimento, nel complesso, agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
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